Tivoli può vantare una fama internazionale che le deriva dal privilegio di essere stata scelta dall’uomo e dalla sorte per essere patria di beni archeologici, artistici e naturalistici il cui valore culturale è universalmente riconosciuto. Si allude tra tutti alle tre grandi Ville che insistono sul territorio tiburtino: Villa Adriana, Villa d’Este e Villa Gregoriana.
A ben guardare questi luoghi, così diversi tra loro per cronologia e caratteristiche, sono accomunati da un elemento comune che, senza alcun dubbio, è fortemente legato a molti aspetti della storia della città: l’acqua. Tivoli, infatti, ha fatto del suo fiume e della ricchezza delle acque che ne deriva non solo una risorsa ma anche uno strumento da “modellare” allo scopo di creare meraviglie artistiche. Un itinerario dedicato alla conoscenza dei percorsi compiuti dall’acqua permette di valorizzare il rapporto inscindibile che la città di Tivoli ha avuto con tale elemento.
Capolavoro di sintesi tra la cultura rinascimentale e il nascente gusto barocco, Villa d’Este – voluta dal cardinale Ippolito II d’Este e patrimonio dell’Unesco dal 1997 – venne progettata da Pirro Ligorio e realizzata a partire dalla metà del Cinquecento dall’architetto di corte Alberto Galvani. Artefice capace e celebre antiquario, Ligorio ideò il palazzo e il giardino sfruttando la potenza e la pressione del fiume Aniene per portare l’acqua necessaria ad alimentare le innumerevoli fontane. Senza pompare acqua artificialmente, ma costruendo una galleria di oltre cinquecento metri sotto la città e un complesso sistema di tubazioni, il fiume ancora oggi anima le fontane del parco.
Villa Gregoriana nasce, invece, nel 1835 come parco pubblico per volere di papa Gregorio XVI in occasione della realizzazione del doppio cunicolo che devia le acque dell’Aniene per salvaguardare la città dalle rovinose esondazioni del fiume. Nel passato l’Aniene descriveva, infatti, un’ansa intorno all’acropoli scendendo più in basso con quattro cascate; in questa area, attraente per la bellezza del paesaggio e per la disponibilità di acqua, sorse nel II secolo d.C. la villa di Manlio Vopisco descritta dal poeta Stazio. Il parco di Villa Gregoriana occupa una forra assai scoscesa, detta anticamente Valle dell’Inferno, scavata dall’Aniene ai piedi dello sperone roccioso dell’acropoli. Il percorso della villa si snoda fra cunicoli e cavità celando scorci di estrema bellezza divenuti celebri nell’Ottocento quando divenne meta del Grand Tour; di straordinario effetto è il salto della Grande Cascata (circa 105 metri) e il fragore con cui le acque dell’Aniene si incanalano nella Grotta di Nettuno e nella Grotta delle Sirene, inghiottite dalle rocce.
La residenza adrianea
Se per Villa Gregoriana e Villa d’Este il legame con il fiume e le acque di Tivoli appare evidente, la residenza adrianea – patrimonio Unesco dal 1999 – nasconde una connessione con l’acqua oggi meno percepibile ma comunque essenziale. Nominato imperatore nel 117 d.C., Adriano sceglie di edificare la propria dimora in un territorio – eletto già in età repubblicana dal patriziato romano a luogo di otium –che poteva vantare la vicinanza delle cave di travertino, la presenza di acquedotti (indispensabili per garantire il rifornimento dei numerosi bacini d’acqua e delle diverse fontane della Villa), la navigabilità del fiume Aniene fino al Ponte Lucano, la vicinanza delle Acque Albule – note già ai Romani per i loro effetti curativi – e la presenza in locodi materie prime quali tufo, pozzolana e tartari utilizzati per la decorazione di fontane e ninfei. La ricchezza di acque del territorio di Tivoli è dunque elemento essenziale per la scelta di Adriano: la Villa sorge, infatti, su un pianoro tufaceo, in un’area servita dagli acquedotti e delimitata dal corso di due torrenti che, unendosi in un solo fosso, confluiscono nell’Aniene non lontano da Ponte Lucano, l’Acqua Ferrata a est e Risicoli o Rocca Bruna a ovest. La Villa era dotata di un numero di fontane, vasche, canali tale da evidenziare il ruolo dell’acqua quale elemento di raccordo tra paesaggio e architettura. Edificata in luogo di alto valore paesaggistico caratterizzato da flora rigogliosa, freschi boschi, prati e campi, la residenza adrianea vanta un legame tra natura e artificio percepibile soprattutto in quei padiglioni che facevano dell’acqua il principale elemento di meraviglia: tra questi si può citare il Canopo, animato in antico dai giochi d’acqua ideati per vivacizzare il Serapeo e l’Euripo, o la Piazza d’Oro i cui giardini erano dotati di canali e fontane; non si possono, infine, tralasciare gli specchi d’acqua che ancora oggi mitigano le murature austere del Pecile e del Teatro Marittimo.
Il fiume Aniene
L’acqua è parte integrante del patrimonio culturale di Tivoli perché è intorno ad essa che si sono sviluppate le prime forme di aggregazione comunitaria e, in una condizione di organizzazione urbana avanzata, ha favorito lo sviluppo di interi settori del territorio. Non è un caso che le prime tracce umane di cui si abbia attestazione nel territorio tiburtino si pongano in rapporto con il fiume Aniene. Tali testimonianze risalgono al Paleolitico Superiore e sono riscontrabili nella Grotta Polesini, frequentata dall’uomo in un periodo compreso fra i 12 mila e i 10 mila anni fa. La grotta si trova sulla sponda destra del fiume, poco sopra l’area di Ponte Lucano, ed è proprio con i reperti ivi rinvenuti che gli archeologi sono soliti iniziare a raccontare la storia di Tivoli. Altra testimonianza del ruolo ricoperto dal fiume già nelle fasi più antiche di sviluppo della città è la necropoli della prima Età del Ferro rinvenuta in località Acquoria, toponimo che deriverebbe dalla vicina fonte dell’Aqua Aurea già nota ben prima della fondazione di Tivoli.
L’Acquoria rappresentava, infatti, un passaggio obbligato per le carovane provenienti dall’Alta Valle dell’Aniene che, seguendo le pendici di Monte Catillo, scendevano verso Quintiliolo per poi raggiungere il guado dell’Aniene; un luogo di transito obbligato per molte genti in cui sorsero piccoli abitati, luoghi di culto e sepolcreti. Una condizione che testimonia il ruolo svolto dalla propizia conformazione del fiume e del territorio già in età preromana e che assicurò a Tivoli una florida condizione di esistenza e di sviluppo urbano per tutto l’arco della sua storia.
L’Aniene– celebrato da scrittori, cantato da poeti, fissato in tele magnifiche e in pregevoli incisioni – è espressione del ruolo che l’acqua ha per Tivoli. L’energia del fiume era sfruttata già nell’antichità quando le acque, deviate tramite condotti e canali, alimentavano piccole cascate che consentivano il movimento di ruote idrauliche in grado di attivare piccole industrie artigiane. Una florida tradizione produttiva è testimoniata anche nel Medioevo con mulini, opifici e lanifici cui si aggiunse più tardi anche la produzione della carta oltreché segherie e botteghe che per la concia dei pellami. Nel Seicento l’Aniene alimentava la produzione di piccole ferriere, due polveriere e una fabbrica di armi avviando uno sviluppo industriale che continuerà ancora nell’Ottocento. Non meno importante è l’apporto che i condotti delle acque offrivano alla città per garantire l’irrigazione degli orti. Aspetto connesso allo sviluppo industriale della città è lo sfruttamento del fiume per alimentare le centrali idroelettriche edificate a partire dal Ottocento; il 4 luglio 1892 il segnale elettrico generato dalla centrale dell’Acquoria percorse i 28 km che separavano Tivoli da Roma illuminando la Capitale.
Volendo tracciare un percorso che permetta di scoprire le meraviglie generate dalla capacità dell’uomo di modellare tale elemento si può costruire un itinerario che da Villa Gregoriana scenda verso la valle fino a raggiungere Villa Adriana senza però tralasciare una necessaria deviazione per ammirare Villa d’Este. Tuttavia il millenario rapporto tra la città e il suo fiume è percepibile, più che nelle grandi evidenze sopracitate, percorrendo le strade dei quartieri più antichi e lungo le vie rurali dove il gorgogliare delle tante fontane e dei canali accompagnano i passi del viaggiatore.