Sulle tracce di…. Raffaello Sanzio

In virtù della fama delle sue Ville, Tivoli è stata meta privilegia e ineludibile del Grand Tour, pellegrinaggio laico e culturale verso i luoghi dell’antico e del bello. Il soggiorno si incentrava su Roma, baricentro di un sistema radiale che muoveva però anche lungo le vie consolari percorse da artisti e intellettuali decisi a scoprire le mirabilia disseminate nella Campagna romana.

La frequentazione della città da parte di pittori, scultori, architetti e letterati inizia però ben prima del Settecento; già nel Rinascimento moltissimi erano gli artisti che hanno osservato e ammirato le antichità e le meraviglie paesaggistiche di Tivoli trovando stimoli per le proprie creazioni. In questo primo periodo è soprattutto Villa Adriana a diventare oggetto di indagini e studi, spesso documentati da racconti, lettere e disegni. Queste testimonianze dimostrano come Tivoli fosse una tappa obbligata anche per tutti quei grandi artisti le cui opere ancora oggi ammiriamo con entusiasmo, tra questi si pone Raffaello Sanzio.

Di una visita di Raffaello a Tivoli si ha memoria certa attraverso una lettera di Pietro Bembo diretta al cardinale Bibbiena e datata al 3 aprile 1516. Bembo motiva la “gita” con il desiderio di vedere  «il vecchio et il nuovo, et ciò che di bello sia», una volontà condivisa con un gruppo di amici intellettuali che oltre a Raffaello annovera Baldassar Castiglione, Andrea Navagero e Agostino Beazzano. Sebbene si possa ipotizzare che il viaggio a Tivoli abbia previsto anche la visita alle rovine di Villa Adriana, la lettera non documenta esplicitamente un passaggio per la residenza adrianea. Di certo il viaggio non aveva soltanto l’obiettivo di garantire alla compagine al seguito del Bembo un po’ di svago, ma piuttosto permise loro di scoprire le antichità disseminate nei dintorni di Roma.

Stando alle ipotesi degli studiosi, Villa Adriana deve aver contribuito ad alimentare l’immaginario di Raffaello architetto e il progetto di Villa Madama a Monte Mario (odierna sede del Ministero degli Esteri) – preparato proprio nel periodo in cui l’artista avrebbe visitato i ruderi – sarebbe la più evidente testimonianza di tale tesi. Purtroppo non conserviamo i disegni originali ma il progetto della villa ideato da Raffaello ci è comunque noto attraverso gli schizzi del suo collaboratore Giuliano da Sangallo il Giovane. Raffaello aveva posto al centro dell’edificio un horaculo, cioè uno spazio circolare scoperto ispirato al Teatro Marittimo di Villa Adriana che, tuttavia, non è stato realizzato perché eliminato dai progettisti che terminarono i lavori dopo la morte dell’artista. Dalla residenza adrianea Raffaello trae ispirazione per definire la forma e l’organizzazione in sequenza degli ambienti; nel progetto iniziale Villa Madama prevedeva, infatti, la presenza di ambienti termali, di un ippodromo, di un ninfeo, di spazi per i banchetti e foresterie per gli ospiti, di criptoportici ed esedre. Sappiamo inoltre che proprio in una delle esedre di Villa Madama furono collocate le statue delle Muse rinvenute nelle campagne di scavo condotte poco prima di quegli anni a Villa Adriana e oggi conservate al Museo del Prado di Madrid.

 Il legame tra Raffaello e Tivoli è connesso anche a un aneddoto ricordato dal Crocchiante nella sua opera dedicata alla storia delle chiese della città pubblicata nel 1726. Nelle pagine dedicate alla Chiesa di San Michele Arcangelo – posta nella zona di Castrovetere e oggi consacrata a San Giorgio – si racconta di quando le monache Clarisse residenti nel monastero di Santa Caterina che si trovava presso piazza dell’Olmo, si trasferirono nel nuovo convento costruito nei pressi della chiesa (sono le stesse Clarisse che in origine abitavano il convento di San Giovanni Battista, eretto sull’area del Santuario di Ercole Vincitore).

Era il 1571 e il cardinale Ippolito II d’Este, insieme al vescovo Marcantonio Croce, guidò la processione delle Clarisse per accompagnarle nella loro nuova casa; proprio in questa occasione il cardinale fece loro dono di un quadro di San Michele opera del «più eccellente pittore e a niuno secondo», Raffaello da Urbino. L’opera venne collocata sull’altare maggiore della chiesa e, purtroppo, non si hanno notizie sulle vicissitudini che ne hanno determinato la scomparsa. Si può però tentare di immaginare come doveva apparire osservando un altro San Michele dipinto da Raffaello e dai suoi aiuti oggi conservato al Louvre; di certo questa opera non può essere il San Michele di Tivoli perché già nel 1518 si trovava in Francia ma può saziare al meno un po’ la curiosità di chi legge suggerendo un’ipotesi ricostruttiva.

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