Venerdì 13 gennaio presso il Museo della Città, si è tenuta la conferenza dal titolo L’Egitto a Tivoli: il caso dei ‘Cioci’, a cura di Benedetta Adembri e Giuseppina Enrica Cinque. L’iniziativa congiunta dell’Istituto Villa Adriana e Villa d’Este – VillÆ e del Comune di Tivoli, intende ripercorrere la storia di Tivoli e del suo patrimonio archeologico. Pubblichiamo un articolo del dottor Andrea Bruciati direttore dell’Istituto autonomo Villa Adriana e Villa d’Este:
Per secoli vanto delle antichità tiburtine, le due gigantesche statue di granito rosso di Assuan, che dominavano fino al 1779 piazza dell’Olmo accanto alla cattedrale di San Lorenzo e attualmente ai Musei Vaticani, sono oggi uno sbiadito ricordo per la maggior parte degli abitanti di Tivoli. Eppure, le fonti antiquarie documentano attraverso disegni e testimonianze di artisti ed eruditi che i due colossi, alti m 3,35, detti localmente “Cioci”, sono stati ammirati e studiati da personaggi illustri, che ne hanno fissato in schizzi e commenti le loro impressioni: tra questi, Michelangelo, che li reputò “essere delle più belle memorie antique del mondo”, a detta dell’erudito tiburtino del Cinquecento Giovanni Maria Zappi, studioso attento della storia di Tivoli.
Le origini
Ma, oltre alla memoria iconografica dei due ‘Cioci’ quali pregevoli esempi di scultura antica, da ancora più tempo si era persa memoria della loro origine: nel Settecento J.J. Winckelmann aveva scritto un appassionato commento sulla coppia di statue, in cui aveva riconosciuto le sembianze di Antinoo, il giovane favorito di Adriano morto tragicamente durante il viaggio in Egitto nel 130 d.C. e, come noto, pianto grandemente dall’imperatore, che ne aveva voluto fissare in numerose sculture i tratti fisionomici. Lo studioso aveva anche affermato che le sculture, simili ai ritratti di Antinoo divinizzato nella forma di Osirantinoo, provenivano da Villa Adriana ed erano da ascrivere alla decorazione del Canopo, già noto per i rinvenimenti delle sculture di soggetto egizio in pietra scura in parte esposti ai musei Vaticani – oggi riferiti più propriamente all’area degli Aegyptiaca di Villa Adriana. E queste due osservazioni, considerata l’autorevolezza della fonte, sono diventati punti fermi negli studi successivi fino all’età contemporanea, anche se le cronache di storia tiburtina ci raccontano tutt’altro. Dal manoscritto di Zappi e dagli scritti di altri due eminenti tiburtini del Cinquecento, il notaio Antonio di Simone Petrarca e il medico Antonio Nicodemi, conosciamo le vicende relative all’origine dei ‘Cioci’: tutti infatti riferiscono che nei documenti d’archivio medioevali si racconta che le due importanti sculture si trovavano a Tuscolo fino all’epoca della sua distruzione nel 1191 ed erano state concesse ai Tiburtini come bottino di guerra per l’aiuto dato alla città di Roma nella battaglia decisiva contro i Tuscolani.
Le statue
Le statue stavano originariamente ai lati della porta maggiore di Tuscolo e dovevano provenire dall’antica Tusculum o dai dintorni, che, come si evince dalla documentazione archeologica e dalle fonti storiche latine, ospitavano un sistema di ville frequentate dalla famiglia imperiale, in particolare da Tiberio ai Flavi. Sappiamo inoltre che, dopo l’età augustea, Nerone e i Flavi furono particolarmente interessati all’Egitto, dove l’imperatore era considerato l’erede dei faraoni, tanto che si fecero ritrarre in vesti egizie anche nella madrepatria. Non sorprende quindi che la provenienza dei ‘Cioci’ sia da ascrivere ipoteticamente a questo territorio.
La conferenza
E’, come emerso anche nel dibattito seguito alla conferenza presso i musei Civici, sembrerebbero da assegnare preferibilmente alla produzione artistica del I secolo d.C., per quanto sia assai difficile datare questa tipologia di figure egittizzanti, che mantengono nel tempo gli stessi caratteri formali, sulla scia della tradizione di epoca faraonica; e l’identificazione dei soggetti rappresentati era affidata al testo scritto che accompagnava le figure, sia a tutto tondo che a rilievo o dipinte sulle pareti di tombe e templi. Tuttavia, un indizio, sia pure generico, sull’interpretazione dei personaggi raffigurati è costituito dalle vesti e dagli attributi delle due statue: in particolare il copricapo nemes con ureo è indubitabilmente una caratteristica regale, tipica dei ritratti del faraone. D’altra parte, i tratti fisionomici del volto delle due sculture – uno dei quali molto restaurato – non sembrano così somiglianti a quelli di Antinoo tramandati dalla ritrattistica scultorea e numismatica. È certo che si tratta di opere egittizzanti prodotte in epoca imperiale per la committenza romana, come prova il fatto che per esigenze di simmetria la gamba avanzata sia in un caso la sinistra e nell’altro la destra, mentre nel mondo egizio, sia di epoca faraonica che tolemaica e romana, la gamba protesa in avanti in tutte le raffigurazioni è sempre la sinistra. Potrebbero essere quindi ritratti, a mio avviso, di un imperatore.
Gli imperatori
Sappiamo – come già accennato – che diversi furono gli imperatori che si fecero ritrarre nelle vesti di faraone e, sebbene, non siano ad oggi riconosciute sculture di Adriano in vesti egiziane, in Egitto sono molte le raffigurazioni a rilievo che lo ritraggono in contesti santuariali accompagnate dal cartiglio in caratteri geroglifici che lo identifica in maniera certa. È dunque lecito ipotizzare che alcune delle sculture egittizzanti interpretate come Osirantinoo da Villa Adriana possano in realtà raffigurare Adrian
Andrea Bruciati direttore dell’Istituto autonomo Villa Adriana e Villa d’Este